1. Negazione della tutela delle opere generate dall’IA: il caso “Zarya of the Dawn”
Il Copyright Office degli Stati Uniti, con la decisione del 21 febbraio 2023[1], ha negato la tutela alle immagini generate dall’intelligenza artificiale (AI) ai sensi della normativa statunitense sul copyright.
La vicenda riguardava, Kristina Kashtanova, autrice della graphic novel “Zarya of the Dawn”, la quale si era avvalsa del software “AI Midjourney” per generare immagini da inserire nel suo fumetto.
L’ufficio statunitense aveva inizialmente concesso la registrazione dell’opera per poi rivenire sui suoi passi e avviare la procedura di cancellazione della registrazione dell’opera, dopo essere venuto a conoscenza dell’utilizzo del software “Midjourney” da parte dell’autrice.
Invero, l’ufficio contestava le modalità con cui il software procedeva alla generazione delle immagini che, a suo avviso, non erano tali da poter rinvenire un contributo sostanziale da parte dell’autrice e di conseguenza la possibilità di attribuire la titolarità a quest’ultima su tali immagini.
Midjourney è un software che attraverso i “prompt”, ovvero comandi di testo, procede ad elaborare 4 immagini in risposta alle istruzioni fornite dall’utente; il quale a sua volta potrà scegliere tra le immagini fornite dal software o richiedere nuove varianti.
L’ufficio, analizzando le modalità con cui le immagini venivano generate, sottolineava come Midjourney non interpreta i “prompt” quali istruzioni specifiche per creare un particolare risultato espressivo, poiché quest’ultimo “non capisce la grammatica, la struttura della frase o le parole come gli esseri umani”.
A detta dell’ufficio, i comandi inviati dall’utente funzionerebbero più come suggerimenti che come vere e proprie istruzioni, generando quindi risultati imprevedibili che l’utente non avrebbe la possibilità di influenzare.
A tal proposito, l’ufficio statunitense, richiamando il requisito della creazione umana, sottolineava la necessità di esaminare nel singolo caso concreto il livello di intervento umano nell’elaborazione dell’opera ai fini della valutazione della registrabilità della medesima.
Nel caso specifico l’ufficio ha ritenuto che le immagini fossero un mero prodotto dell’attività del software IA e che le successive richieste di modifica ed elaborazione effettuate dall’autrice sulle immagini, non fossero sufficienti a costituire una creazione originale tutelabile ai sensi della normativa Copyright, in quanto si trattava di modifiche di lieve entità e prive della creatività necessaria.
Allo stesso tempo, la decisione del Copyright Office riconosceva la paternità del testo della graphic novel e della disposizione delle immagini in capo all’autrice Kristina Kashtanova, non essendo riscontrabile a detta dell’ufficio, l’ausilio di nessuna IA generativa per l’espletamento di queste attività.
Questo ultimo aspetto della decisione conferma come, in relazione alle opere composte, la non proteggibilità ai sensi della normativa Copyright di un elemento compositivo dell’opera non osta alla protezione dell’opera nonché della sua struttura ed impaginazione.
2. Analisi di una scelta “politica”
Il caso in analisi funge da spunto per diverse riflessioni circa il rapporto tra intelligenza artificiale e diritto d’autore.
i. La questione della “prevedibilità del risultato”
Se, a detta dell’ufficio statunitense, l’imprevedibilità del risultato ottenuto mediante l’ausilio di strumenti espressivi inficia la protezione dell’opera così generata, ci si chiede come questa statuizione possa coordinarsi con il procedimento creativo di numerose opere d’arte.
Nel mondo dell’arte, al fine di dar vita a qualcosa di originale e creativo, gli artisti tendono spesso a sperimentare diversi mezzi, strumenti e modalità di creazione che per loro natura non possono che essere “imprevedibili”.
A tal proposito si potrebbe citare l’esempio dell’artista Jackson Pollock, noto esponente del movimento de “action painting”, e della sua opera costituta da schizzi di vernice su tela.
In quest’ultima, l’esatto raggio di rotazione e la traiettoria delle gocce di vernice lanciate su tela non erano sicuramente né note e né prevedibili dall’artista, inoltre l’intenzione di Pollock era quella di fissare un’immagine su tela ma non conosceva in anticipo ciò che sarebbe stato il risultato effettivo delle sue azioni, situazione analoga a quella di Kristina Kashtanova e della sua volontà di generare immagini da inserire nella graphic novel.
La domanda che scaturisce da tutto ciò è: “Se seguissimo il ragionamento dell’ufficio per il caso in questione, legato alla prevedibilità dei mezzi espressivi usati, quante opere d’arte potrebbe essere negata la tutela del diritto d’autore?”
ii. L’analisi del livello di creatività
La seconda questione che emerge, alla luce della decisione, riguarda un diverso metro di misura dell’apporto creativo richiesto per la protezione ai sensi del diritto d’autore a seconda del mezzo di espressione creativa utilizzato.
In tal senso è rammentabile l’esempio delle opere fotografiche, per le quali è sicuramente riscontrabile nella prassi, una tendenza a concedere la protezione a prescindere da una verifica sistematica circa il controllo creativo esercitato dall’autore sull’illuminazione, l’angolazione e tutti gli altri elementi di cui si compone l’originalità di una fotografia.
Al contrario, il caso in questione, denota un’attenzione minuziosa dell’ufficio statunitense riguardo il controllo creativo esercitato dall’autrice sul procedimento generativo delle immagini, non ritenendo sufficiente ai fini della tutela, né le indicazioni iniziali dell’autrice per la generazione delle immagini, né il processo di selezione attuato dalla stessa e nemmeno le successive richieste di modifica ed elaborazione ritenute di poco rilievo.
In relazione a questo aspetto, a nostro parere, piuttosto che interrogarsi in merito al “pluris” di apporto creativo necessario per ottenere una protezione ai sensi Copyright, bisognerebbe puntare l’accento sulle ragioni della “rigidità” dimostrata dagli uffici.
Invero, il livello di interazione fra utente e software IA richiesto ai fini di una registrazione copyright risulta essere particolarmente elevato. Questo induce ad ipotizzare un intento disincentivante dell’ufficio statunitense all’utilizzo dell’Intelligenza Artificiale quale strumento per la creazione di opere dell’ingegno.
Tale reticenza è comprensibile e probabilmente giustificata dalle conseguenze che la concessione di diritti d’autore su opere generate dall’IA potrebbe avere.
Certamente, si porrebbe l’ormai nota questione della titolarità di tali diritti, contesa tra l’utilizzatore dell’IA (che si limita a fornire i comandi “prompt”), il creatore dell’IA (colui che ha concepito il suo funzionamento), il proprietario dell’IA e l’IA stessa (qualora si creasse un quadro giuridico atto a governarne diritti e obblighi).
Inoltre, e soprattutto, la concessione di tali diritti rischierebbe di causare una saturazione del mercato dell’arte. In tal senso, avendo i software la possibilità di generare in tempi brevi una moltitudine di immagini, la tutela automatica di quest’ultime colmerebbe di diritti il mercato, con la naturale conseguenza di rendere estremamente difficile la diffusione della cultura e libera circolazione delle opere, andando di conseguenza a tradire la quintessenza dello stesso diritto d’autore.
Come sempre, la scelta spetta a noi. Tuttavia, tra tutela e dominio pubblico, nulla esclude l’eventuale impiego di una terza via che oltrepassi i classici canoni del diritto d’autore.